Léo Matarasso
in Popoli / Peuples / Peoples / Pueblos, n.ro 3 (février 1984)
Molti dei testi pubblicati sono stati scritti da membri del Consiglio della Lega Internazionale per i Diritti e la Liberazione dei Popoli. Una prova ancora più importante del ruolo della Lega e del Tribunale nel processo di formazione di una nuova coscienza su questi temi è il ricordo delle nostre attività in testi scritti da altri studiosi e attivisti
Sette anni sono trascorsi da quando un gruppo di uomini riuniti ad Algeri, senza nessun mandato ufficiale, ha preso l’iniziativa, a prima vista insolita, di proclamare, il 4 luglio 1976, una Dichiarazione universale dei diritti dei popoli. I promotori di questa Dichiarazione possono essere soddisfatti della sua ripercussione; le sono stati consacrati numerosi studi e commenti, ed è stata evocata in riunioni internazionali ufficiali e non, ed ha persino influenzato alcune risoluzioni internazionali.
Certamente la nozione di diritti dei popoli non è nuova, come non è nuova l’idea che i popoli sono soggetti del diritto. Ma se i diritti dell’uomo sono stati elencati e catalogati in numerosi documenti giuridici nazionali ed internazionali, la materia dei diritti dei popoli era sparsa qua e là in differenti documenti. È stato necessario, ed è questo il merito essenziale della Dichiarazione di Algeri, precisare e raccogliere questa materia “frammentaria e disarticolata”.
Preceduta da un preambolo che espone i motivi che l’hanno ispirata, la Dichiarazione è composta da trenta articoli, divisi in sette sezioni consacrate rispettivamente al diritto all’esistenza, al diritto all’autodeterminazione politica, ai diritti economici dei popoli, al diritto alla cultura, al diritto all’ambiente e alle risorse comuni, ai diritti delle minoranze e, infine, alle garanzie e sanzioni. La Dichiarazione è stata generalmente bene accolta. Qualche critica è stata formulata in relazione a certe disposizioni che gli uni giudicano troppo prudenti e timide e gli altri troppo audaci e inquietanti. Per fare un esempio, a proposito delle minoranze nazionali, alcuni hanno visto nella sezione a esse dedicata la negazione di qualsiasi diritto alla secessione e all’autonomia, mentre altri vi hanno visto una larga apertura alla secessione con i danni che essa comporta, soprattutto per i giovani Stati nati dalla decolonizzazione.
Libertà su cauzione?
Ma al di là di queste critiche si è potuto notare un certo sospetto per quanto concerne la nozione stessa di diritti dei popoli. A causa delle recenti delusioni, alcuni si sono chiesti a che serve parlare o agire per la liberazione dei popoli se è solo per sostituire un potere all’altro o una oppressione a un’altra oppressione. Questi affermano che vale la pena di lottare solo per i diritti dell’uomo, come se ci fosse contraddizione tra i diritti dell’uomo e i diritti dei popoli, come se l’uomo fosse un’entità astratta, fuori dal tempo e dallo spazio, fuori dalla storia, e come se si dovesse subordinare l’aiuto che si dà a un popolo per la sua liberazione alla garanzia che, una volta liberato, rispetterà i diritti dell’uomo.
Non è forse evidente che il rispetto per i diritti dell’uomo dipende dal rispetto per i diritti dei popoli? Questi sono la condizione necessaria ma purtroppo non sufficiente per quelli.
Occorre ricordare che numerosi testi, dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti alla Carta delle Nazioni Unite, trattano nello stesso tempo dei diritti dell’uomo e dei diritti dei popoli. Occorre ricordare che i due Patti internazionali relativi ai diritti dell’uomo adottati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, ratificati dalla maggioranza degli Stati e oggi in vigore, comportano ognuno un primo articolo, redatto negli stessi termini e che proclama il diritto dei popoli di disporre di se stessi?
Ma il legame tra i diritti dell’uomo e i diritti dei popoli non è mai stato così perentoriamente affermato come nella Dichiarazione di Algeri del 1976, il cui articolo 7 dice: “Ogni popolo ha diritto a un governo democratico che rappresenti l’insieme dei cittadini, senza distinzione di razza, di sesso, di credenza o di colore e capace di assicurare il rispetto effettivo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti”. Questo articolo della sezione II sul diritto all’autodeterminazione politica significa molto chiaramente che il diritto dei popoli di disporre di se stessi non si esercita solamente nel momento in cui un popolo manifesta la sua volontà di liberarsi da un dominio straniero (autodeterminazione esterna) ma deve potersi esercitare in modo permanente da un regime democratico che rappresenta l’insieme dei cittadini e che assicura il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (autodeterminazione interna).
Questo testo ci sembra suscettibile di cancellare una certa confusione anteriore. Così Charles Rousseau considera che l’inclusione del diritto dei popoli di disporre di sé medesimi in uno strumento giuridico dedicato all’enunciazione dei diritti individuali, vale a dire i patti internazionali relativi ai diritti dell’uomo, solleva delle riserve sul piano metodologico. Altri autori si pongono domanda se il diritto all’autodeterminazione può essere considerato come un “diritto dell’uomo” nel senso stretto dell’espressione. La migliore risposta a queste domande è data da Karel Vasak: l’autodeterminazione non può essere un diritto individuale dell’uomo, essa però è certamente la condizione necessaria per l’esistenza stessa dei diritti dell’uomo, nel senso che, là dove essa non esiste, l’uomo non può essere libero poiché gli viene impedito di liberarsi (gli è tolta la possibilità di liberarsi).
Nozioni indissociabili
Se si ammette che il diritto all’autodeterminazione è condizione essenziale dei diritti dell’uomo, non è stato affatto un errore metodologico averlo ricordato nell’articolo primo che costituisce, da solo, la prima parte di ciascuno dei due patti.
D’altra parte, facendo del diritto a un regime democratico che assicuri il rispetto effettivo dei diritti dell’uomo uno dei diritti fondamentali dei popoli, la Dichiarazione universale del 1976 fa di questo rispetto una condizione essenziale del diritto all’autodeterminazione.
E’ importante sottolineare con insistenza questa interdipendenza dei diritti dell’uomo e dei diritti dei popoli, così come è importante affermare l’universalità delle due nozioni.
In un’epoca di tensioni internazionali come quella in cui viviamo, i governi hanno la tendenza a esercitare condanne selettive in funzione delle loro posizioni politiche. E’ questa la ragione per cui è compito soprattutto delle organizzazioni non governative prendere coscienza, senza rivalità, che la causa dei diritti dell’uomo e quella dei diritti dei popoli sono inscindibili.
in: Popoli / Peuples / Peoples / Pueblos, n.ro 3 (février 1984)