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Ci ha insegnato a coniugare rigore e passione

    Salvatore Senese

    in Léo Matarasso, Seminario del 6 dicembre 2008, Cedetim, Parigi

    Cari amici
    Henriette ed io non potremo essere con voi in occasione dell’incontro dedicato alla memoria di Léo Matarasso e agli insegnamenti che ci ha lasciato.
    Ci dispiace molto perché Léo è tra quelli che hanno segnato la nostra gioventù.
    Ci ha insegnato che un modo per dare senso alla vita è scoprire l’arricchimento che viene dagli altri; soprattutto dall’impegno a lottare per i diritti degli altri, popoli e individui, persone che non conosciamo ma che ci diventano familiari attraverso le loro sofferenze e lotte.
    E ci ha insegnato a trovare in questo la gioia di vivere, sentendoci parte di un’umanità che ci supera e ci capisce, che unisce le generazioni e ci permette di pensare alla storia.
    Abbiamo conosciuto Léo – la cui saggezza umoristica è rimasta con noi fino alla sua morte – durante la preparazione e poi le sessioni del Tribunale Russell II per l’America Latina, un’impresa concepita da Lelio Basso per dare voce a coloro i cui diritti e la cui dignità venivano violati e che erano ignorati dalle istituzioni ufficiali.
    La collaborazione di Léo con Lelio continuò nella creazione del sistema che il genio di Lelio ideò per fornire stabili punti di riferimento culturali, istituzionali e organizzativi a tutti coloro che volessero unire i loro sforzi nella lotta per i diritti umani e dei popoli.
    Questi punti di riferimento sono chiamati: Dichiarazione universale dei diritti dei popoli adottata ad Algeri il 4 luglio 1976, Fondazione internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli, Tribunale permanente dei popoli, Lega per i diritti e la liberazione dei popoli.
    Tutte queste imprese furono segnate dai contributi lucidi e rigorosi di Léo , che si nutrivano dell’esperienza che aveva accumulato nelle reti della resistenza al nazismo, nelle lotte anticoloniali – Algeria, Vietnam, Palestina – e nella lotta per i diritti umani.
    Tutti questi campi gli avevano insegnato la varietà di situazioni che possono offendere la dignità delle donne e degli uomini, perché – come amava ripetere – le situazioni di oppressione sono molteplici e spesso intrecciate: riguardano il rapporto dell’uomo con il lavoro e il mondo della produzione, ma anche il rapporto con la natura e l’ambiente; la mancanza di beni essenziali per la sopravvivenza, ma anche l’inquadramento in una società gerarchica ed espropriante; i rapporti familiari, ma anche i rapporti tra i sessi; il rapporto con il potere politico, ma anche il rapporto con gli innumerevoli luoghi di potere che ogni società secerne; il rapporto dell’individuo con il gruppo a cui appartiene, ma anche la disintegrazione di tutti i legami comunitari; il rapporto con la tradizione, ma anche il rapporto con le diverse culture; il rapporto con lo Stato, ma anche la mancanza di Stato o la frammentazione del potere in mille feudalità e corporazioni. In breve, ci ha insegnato che tutto ciò che ha a che fare con i molteplici aspetti della condizione umana e la sua ineliminabile dimensione collettiva può costituire un oggetto di oppressione e, di conseguenza, diventare un terreno di liberazione. E così questo non è prerogativa di un solo soggetto, ma trova i suoi soggetti in ogni contesto concreto, che differiscono da una nazione all’altra, da un contesto all’altro.
    Questo evita l’errore di ignorare i percorsi difficili attraverso i quali la liberazione può essere raggiunta; ed evita anche di prendere i risultati dell’evoluzione di una parte dell’umanità come obiettivi assoluti di liberazione.
    È questa visione aperta e informata che Léo ha portato al lavoro delle numerose sessioni del Tribunale Permanente dei Popoli in cui ha seduto come giudice – Zaire, Guatemala, Timor Est, Afghanistan I, Afghanistan II, Argentina – lasciando il suo segno nelle sentenze che le hanno concluse.
    Più in generale, ci ha insegnato a combinare il rigore del vero giurista con la passione del difensore dei diritti dell’uomo e dei popoli e l’ampiezza di orizzonti dell’osservatore della realtà internazionale. E in un’epoca in cui l’impegno era spesso diviso in due campi opposti – da una parte i difensori dei diritti dei popoli e dall’altra i difensori dei diritti umani – lui fu uno di quelli che aprì la strada a un impegno che considerava i due fronti di lotta inseparabili.
    Soprattutto, fu un maestro prezioso per le giovani generazioni di avvocati che si riunirono intorno alla figura carismatica di Lelio Basso. Perché egli ci ha insegnato, con la sua presunzione e genialità, a temperare, con il rigore di un avvocato, il nostro ardore militante contro l’oppressione. La frase con cui introduceva i suoi “richiami all’ordine” è diventata un classico nel gergo del sistema Basso: “il piccolo cartesiano che sono…”. Iniziava così gli interventi che davano alle nostre bozze la dignità di un discorso giuridico solido e convincente. C’era, certo, il grande avvocato che meritava il rispetto di giudici e avversari, ma c’era anche qualcosa di più profondo, un tratto culturale, perché era convinto che la legge può diventare un’arma al servizio dei deboli e degli oppressi e che quindi non doveva essere banalizzata o sminuita ma – al contrario – che doveva essere “presa sul serio”; Questo non implica affatto che i testi debbano essere ossificati o che non si debba dare loro un nuovo significato e una nuova portata rispetto a quelli dati loro dalla tradizione. Era ben consapevole che le norme si esprimono in parole e che ogni parola ha un surplus di significato che fa sempre appello all’intelligenza dell’interlocutore; che si tratta quindi di lavorare su questo surplus così come sulla cultura, i sentimenti e le idealità degli interlocutori per “portare i testi oltre i confini che gli Stati, che sono essenzialmente restrittivi, impongono loro”, come amava spesso ripeterci.
    In questo sforzo, ha attinto alla sua vasta conoscenza storica e alla sua esperienza cosmopolita, che ha generosamente condiviso con noi.
    Così, fino agli ultimi anni di una vita lunga e piena, il suo impegno e la sua generosità si esprimevano con la leggerezza di un passo di danza che copriva la serietà e la profondità dei suoi sentimenti.

    Senese, Salvatore

    in:

    <strong>Léo Matarasso,
    Seminario del 6 dicembre 2008, Cedetim, Parigi
    Milano, maggio 2009</strong>

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    Léo Matarasso