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Finestre sul ritorno

    Eduardo Galeano

    in Peuples/Popoli/Peoples/Pueblos n.ro 5 (Novembre 1984)

    I sempre
    Ero appena arrivato, non andavo a Buenos Aires da otto anni. Nessuno lo sapeva. Solo l’amico che mi accompagnava quella prima mattina. Siamo andati alla ricerca del mio caffè, il Café Ramos, e non l’abbiamo trovato, o meglio l’abbiamo trovato ma non c’era più. E poi andammo alla casa dove avevo vissuto, in via Montevideo , per il puro piacere di guardarla dal marciapiede. Ed è quello che stavo facendo, una cerimonia segreta, quando l’amico mi ha chiesto che fine avesse fatto un quadro che era appeso sopra il mio letto in camera mia.
    Il quadro era un porto, un porto montevideano per arrivare, non per partire; e io dicevo al mio amico che non sapevo dove fosse finito quel quadro, forse perduto come tante altre cose, e gli dicevo che non sapevo nemmeno cosa ne fosse stato della vita del pittore, Emilio, tanto fratello, e poi, mentre parlavo di Emilio, mi sono girato e l’ho visto: Emilio camminava, come chiamato, verso il luogo esatto, quell’angolo tra i mille angoli dell’immensa città, e in quel momento esatto.
    E mi sono detto: “Sono tornato senza essere partito”.

    I mai più
    Mi sono mancate persone, amici che non sono più a Buenos Aires o altrove, sono scomparsi. La santa inquisizione dei militari, l’esorcismo del sangue contro il diavolo ostinato della ribellione popolare, li ha fatti sparire.
    E mi sono perso dei luoghi. Il Bachin non era più quello di una volta e una cava di pietra mi aspettava al posto del vecchio mercato, dove i baschi non ci sono più; e sapevo che non ci sarebbero più state le fontane di caracú o le albe a El Tropezón.

    l’eredità
    Ho trovato la moneta nazionale ridotta a un miraggio. Con una banconota da un milione di pesos ho pagato il giornale e il ragazzo dell’edicola non è svenuto.
    Sul giornale ho letto che il tasso di interesse era appena aumentato di mezzo punto negli Stati Uniti, solo mezzo punto, niente di che, e che quell’umile mezzo punto faceva aumentare il debito estero dell’Argentina di 250 milioni di dollari. Una brutta notizia, ho pensato, per i milioni di lavoratori che devono pagarla. Un’ottima notizia, invece, per la minoranza che conserva nelle banche americane i profitti strappati al Paese in tutti questi anni e che continua a dedicare le proprie giornate e notti insonni alla speculazione.
    Per dimezzare i salari, la dittatura ha dovuto moltiplicare il debito per sei. Senza una cosa, l’altra non è possibile. È un carburante molto costoso per la macchina del terrore. E nel frattempo i dollari volavano. Come in Cile, come in Uruguay: i padroni di fuori ti prestano quello che i padroni di dentro ti rubano; e poi devi pagare il randello che ti picchia e il lusso che ti umilia. Robin Hood al contrario, Re Mida in negativo: un sistema che ruba ai poveri per dare ai ricchi e trasforma in spazzatura tutto ciò che tocca. Lottare per cambiarlo non è forse ciò che il buon ossigeno della democrazia merita e richiede, affinché questo buon ossigeno rimanga e continui a crescere? Chi crede questo è un terrorista o un cretino? Chi dice questo attacca la democrazia e il buon gusto?

    Il tunnel del tempo
    A Montevideo mi aspettavano gli amici di trent’anni fa, di quando ho indossato per la prima volta i pantaloni lunghi alle manifestazioni di piazza. Non li vedevo da undici anni, e da allora sull’Uruguay era piovuta molta cenere. La tortura era diventata una consuetudine, la solidarietà un crimine e la delazione una virtù; la menzogna e la diffidenza erano diventate necessità quotidiane, la paura e il silenzio uno stile di vita. Ma appena li vidi capii che questi vecchi amici erano ancora capaci di indignazione, di stupore e di entusiasmo infantile, e che ora avevano tutte le età insieme.
    Ho cercato alcune piante della mia infanzia, che erano erba pura, e le ho trovate coperte di cemento. La dittatura uruguaiana, che sogna un mondo immobile, ama il cemento. E giustamente odia i giovani.
    I ragazzi guardano a un paese devastato, dove trovare lavoro è un’impresa e sopravvivere è un miracolo, ma non stanno a guardare la disgrazia nazionale. Il sistema voleva castrarli, e sono i più fertili. Voleva metterli a tacere, e sono i più assertivi. Chi ha vietato l’acqua ha fallito perché non poteva, perché nessuno può, vietare la sete.

    Galeano, Eduardo
    in: Peuples/Popoli/Peoples/Pueblos n.ro 5 (Novembre 1984)

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