François Rigaux
in Peuples/Popoli/Peoples/Pueblos, n.ro 8 (ottobre 1986)
Le sedute del Tribunale sono state finora il volto più visibile dell’assetto istituzionale fondato e ispirato da Lelio Basso; ma, d’altra parte, la pretesa di un manipolo di intellettuali, scrittori, artisti e personalità politiche di ergersi a giudici dei governi è stata esposta alle critiche di chi è disturbato da una simile attività, ma anche all’incomprensione di molti altri, e in particolare dei rappresentanti di organizzazioni non governative, i cui obiettivi sono spesso vicini ai nostri. Il modo migliore per affrontare e disarmare questi critici è concentrarsi sulla questione cruciale della legittimità del Tribunale, che comprende anche una corretta valutazione della forza normativa della Dichiarazione stessa.
La questione della legittimità è importante per qualsiasi sistema giuridico e, senza pregiudicare la vera natura della Dichiarazione di Algeri e delle sentenze che hanno applicato le sue disposizioni, per qualsiasi insieme concettuale che abbia assunto la forma di una normativa giuridica. Tuttavia, dobbiamo ammettere che la scienza giuridica non è ancora riuscita a dare una risposta soddisfacente a questa domanda di legittimità, ammesso che accetti di porla. La difficoltà è generalmente risolta per preterizione, e la soluzione positivista è ben nota su questo punto: è l’effettività del potere su un territorio da parte di un apparato statale a qualificare l’ordinamento giuridico così identificato con lo Stato.
Il concetto di Stato di diritto (Rechtstaat) non aggiunge alcuna precisione significativa, poiché la natura giuridica dello Stato si riduce agli elementi puramente formali delle norme e delle istituzioni stabilite. La scienza giuridica non è riuscita a mettere in discussione la natura giuridica dello Stato nazista.
La situazione non è molto migliore nel diritto internazionale. Ossessionata da una teoria giuridica che identifica il diritto con lo Stato, la scienza del diritto ha spesso trovato difficoltà a giustificare la qualità di un ordine non territoriale, privo di forza pubblica e di giurisdizione obbligatoria. Tranne che su questioni significative ma specifiche, come la condanna della dominazione coloniale, dell’occupazione straniera o del regime di apartheid, l’ordine giuridico internazionale non è riuscito finora a controllare la legittimità dei poteri statali.
Se ci limitiamo alle fonti occidentali del diritto internazionale, che sono rimaste predominanti fino ad oggi, possiamo osservare due correnti parallele, una che può essere descritta come realista o positivista (Hobbes, Spinoza), l’altra come utopica: il progetto di pace perpetua dell’Abbé de Saint-Pierre, ripreso da Rousseau e da Kant (Zum ewigen Frieden, 1795) e culminato nella Dichiarazione dei diritti dei popoli (antenata della Dichiarazione di Algeri, in quanto vera e propria Dichiarazione dei diritti dei popoli), che l’Abbé Grégoire tentò invano di far approvare dalla Convenzione, nel 1793 e nel 1795.
La Costituzione della Società delle Nazioni e poi quella delle Nazioni Unite sono stati i frutti tardivi e insufficienti del pensiero utopico, di cui Rousseau e Kant sono i rappresentanti più prestigiosi, ed è a questo filone che Lelio Basso è chiaramente legato. La parola utopia deve essere liberata dall’alone peggiorativo che troppo spesso l’accompagna: è un pensiero che anticipa i tempi e che cerca il luogo (sempre questa ossessione per il territorio) dove radicarsi.
Oggi il pensiero utopico non è più solo la visione del futuro di alcuni uomini di genio, da Rousseau a Basso, ma si esprime in movimenti collettivi che comprendono le lotte di liberazione portate avanti in particolare nel Terzo Mondo, la lotta per la democrazia condotta in America Latina o nelle Filippine, i movimenti pacifisti o ecologisti, le organizzazioni in difesa dei diritti umani, dei rifugiati, degli immigrati e tutti gli sforzi per resistere allo Stato e riformare lo Stato che si possono osservare in tutto il mondo.
Se poi torniamo alla questione della legittimità del Tribunale, essa non trova sostegno nelle persone che ne fanno parte, ma nella convergenza che si può rilevare tra le parole pronunciate da pochi e le azioni intraprese da interi popoli.
Tutti coloro che lottano, soffrono e si sacrificano per migliorare la condizione del proprio popolo sono gli unici veri garanti della legittimità del Tribunale. Per quanto riguarda la convergenza, essa si manifesta in modo estremamente concreto: il Tribunale Russell II sull’America Latina, che è all’origine delle istituzioni permanenti successivamente ispirate da Lelio Basso, ha condannato i regimi militari e le dittature dell’America Latina, la maggior parte dei quali è poi crollata.
Sono passati solo pochi mesi da quando il governo americano e i mass media del “mondo libero” hanno riconosciuto l’orrore delle dittature di Duvalier e Marcos, mentre il Tribunale Russell II per il primo e il Tribunale Permanente dei Popoli per il secondo li hanno condannati con un linguaggio che non si può più definire utopico, quando erano capi di Stato riconosciuti e rispettati. La vera legittimità di un sistema giuridico risiede nel futuro e non, secondo la concezione arcaica di un potere ricevuto da Dio, nel passato.
Resta da chiarire il significato delle sentenze del Tribunale in relazione alla Dichiarazione di Algeri e agli standard internazionali che ha applicato. È l’applicazione della norma a situazioni particolari che ne rivela il significato attraverso un processo progressivo di elucidazione. L’assenza di una giurisdizione obbligatoria è la debolezza più profonda dell’ordinamento giuridico internazionale: per quanto sia impossibile dare una definizione a priori di concetti fondamentali come l’aggressione, la legittima difesa e l’autodeterminazione, sarebbe (relativamente) facile verificare caso per caso se una determinata situazione rientra o meno nell’ambito di applicazione della norma.
Questa è anche la funzione principale del Tribunale Permanente dei Popoli: dimostrare che la struttura aperta delle norme fondamentali del diritto internazionale, da cui la Dichiarazione di Algeri non si discosta su nessun punto essenziale, le rende adatte ad affrontare le situazioni particolari che ne sono oggetto.
in: Peuples/Popoli/Peoples/Pueblos, n.ro 8 (ottobre 1986)