Michalis Charalambidis
in Peuples/Popoli/Peoples/Pueblos, n.ro 8 (ottobre 1986)
Nei tempi passati, ma non tanto passati, giusto un secolo fa, le potenze coloniali europee mostravano grande interesse per tutto quello che accadeva nel paese del Sultano. Le persecuzioni, gli esili, le torture, i massacri, i genocidi dei popoli autoctoni dell’impero ripugnavano alla loro coscienza cristiana, liberale e civilizzata.
Tuttavia questo interesse delle potenze europee per i diritti politici e nazionali dei sudditi del Sultano si trasformava in accordi economici e in rimaneggiamenti geopolitici a vantaggio di una o dell’altra potenza europea. Citiamo come esempio la concessione di Cipro all’Inghilterra.
Quando le potenze europee decisero di spezzettare l’impero furono la “logica”, la “giustizia” e gli “interessi di stato” che prevalsero, non la logica dei diritti dei popoli.
Il colmo della politica di macchinazioni delle forze imperialiste e della ragion di stato fu il Trattato di Losanna, “il più grande mercato del secolo”, che legalizzò il dominio del Mediterraneo Orientale da parte del colonialismo straniero.
Alquanto più tardi la situazione non si presenta molto cambiata. La nuova struttura sociale e statale dello stato turco razzista differisce poco da quella dell’epoca dell’impero ottomano di cui costituisce e rivendica la continuità. La sola forma di legalizzazione della nuova burocrazia militare, i nuovi pascià, sono il razzismo, lo sciovinismo, la violenza.
Le rivendicazioni delle Nazioni, dei popoli, delle classi si scontrano con l’alleanza storica tra gli Stati imperialisti della nostra epoca e lo Stato turco .
Il popolo storico curdo o meglio, la nazione storica curda, si scontra con questa alleanza storica nella sua lotta per rompere le catene coloniali che la legano alla “stracciona” patria turca.
Lo stesso accade al popolo armeno e alle altre nazionalità dell’Asia Minore, agli Arabi tra gli altri, allo stesso popolo turco e al nostro popolo in Grecia e a Cipro.
Davanti alle efferatezze dei nostri giorni alcuni governi europei, partiti o personalità politiche, dietro pressione dei loro popoli, prendono delle iniziative, delle decisioni nell’ambito delle istituzioni internazionali o della Comunità Europea, che condannano la violazione attuale dei diritti umani e dei diritti dei popoli da parte dello Stato turco. Tuttavia tutte queste proteste rimangono lettera morta e senza valore oppure sono ritirate in seguito “agli ultimi passi positivi verso la democratizzazione del regime”.
La logica della non-applicazione delle sanzioni ha la sua causa e la sua continuità negli accordi commerciali, economici, militari tra i governi neo-colonialisti e lo Stato turco.
I diritti dell’uomo e i diritti dei popoli dell’area, così come i diritti del nostro popolo, sono soggetti alla logica di una assimilazione “violenta” su basi diseguali della regione del Mediterraneo orientale nel sistema imperialistico europeo e internazionale.
Il nostro popolo si trova ancora una volta nel corso della sua storia di fronte a due dimensioni che impediscono la sua marcia verso la liberazione: la provocazione europea e l’effettiva minaccia turca.
Se, sotto la direzione politica, ideologica e morale delle forze della sinistra, noi non ci distinguiamo come nazione storica nell’area Mediterranea orientale e se non cambiamo la forza storica alienante del razzismo turco in una forza liberatrice per le nazioni, i popoli e le classi, finiremo per diventare una povera appendice, ristretta e deformata, e punto di passaggio per le nuove crociate e per i nuovi Sultani.
Un altro punto di partenza per una soluzione liberatrice è la contestazione della dottrina della NATO e del Mercato Comune sull’integrità della Turchia, che comporta per noi “un’amicizia greco-turca nel quadro della NATO” e tradisce la nostra memoria storica e impedisce al nostro ambiente politico e culturale di esprimere apertamente la sua solidarietà alle nazioni e ai popoli oppressi dal sotto-imperialismo turco.
La nostra iniziativa deve realizzarsi nell’adempimento del nostro dovere patriottico nei confronti del popolo cipriota, nel difendere il suo diritto alla autodeterminazione, nel patrocinio in tutte le organizzazioni internazionali del diritto all’autodeterminazione dei popoli curdo e armeno.
in: Peuples/Popoli/Peoples/Pueblos, n.ro 8 (ottobre 1986)