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Sotto il segno del paradosso

    Julio Cortázar

    in Peuples/Popoli/Peoples/Pueblos n.ro 3 (febbraio 1984)

    Memoria di Julio Cortázar

    Lo scorso 14 febbraio è venuto a mancare un grande amico della Lega, Julio Cortázar. Vogliamo ricordarlo qui riproducendo il discorso che tenne nel 1979 per la riunione costitutiva del Tribunale dei Popoli. Un discorso che è un canto d’amore per l’America Latina e un forte richiamo a compiere il nostro dovere di militanti.

    Questo incontro, come tutti gli incontri che si sono tenuti nel corso della storia con l’intento di far fare ai popoli un passo avanti nella loro evoluzione e nel loro destino, si svolge sotto il segno del paradosso. Un paradosso crudele e ovvio: i popoli, in quanto tali, non sapranno dell’incontro né delle sue conclusioni. Mi riferisco in particolare ai popoli dell’America Latina, per i quali la stragrande maggioranza delle dichiarazioni e dei lavori sui diritti umani, e più recentemente la Dichiarazione sui diritti dei popoli adottata ad Algeri tre anni fa, sono praticamente lettera morta, e morta per la peggiore delle ragioni, quella dell’ignoranza.
    Posso affermarlo nella misura in cui, dopo aver partecipato per diversi anni alle deliberazioni e alle sentenze del Tribunale Bertrand Russell II, mi è stata data l’opportunità di verificare personalmente il muro di silenzio eretto in quasi tutti i nostri Paesi e l’ignoranza dei loro popoli sull’azione del Tribunale. E se inizio con questa affermazione, che può sembrare pessimistica, lo faccio proprio perché credo nella necessità di continuare e perfezionare ogni tipo di assemblea internazionale fino a quando non arriverà il giorno in cui questo muro di silenzio cadrà sotto il peso della verità, della ragione e dell’amore.
    È ovvio che il nostro incontro non è destinato direttamente alla conoscenza di ciascuno degli individui che costituiscono un popolo: ancora una volta, l’inevitabile struttura della piramide sociale deve operare gradualmente il lento lavoro di osmosi , di trasmissione, di convincimento che finisce per portare alla maggioranza le idee e le azioni emanate da spiriti e gruppi in posizione più favorevole dal punto di vista del pensiero e anche dell’azione. Ma ho abbastanza esperienza per non lasciarmi ingannare dalla risonanza immediata che regna tra le quattro mura di qualsiasi assemblea, e che porta molte persone a immaginare ingenuamente che questa risonanza, favorita dai media e dalle urgenze della gente, avrà ripercussioni oltre i confini nazionali. Nella maggior parte delle nazioni latinoamericane, questi confini sono ermeticamente chiusi o, peggio ancora, hanno la diabolica possibilità di trasformare l’eco nel suo contrario e di mostrare la nostra azione come il prodotto di un tentativo di inganno e sovversione.
    Così, ogni frase del Tribunale Russell e ogni articolo della Dichiarazione di Algeri è stato e sarà presentato in questi Paesi attraverso un’interpretazione odiosamente di parte o, peggio ancora, sarà accuratamente messo a tacere per evitare qualsiasi tentativo di analisi e riflessione. So bene che la stessa cosa accadrà con il lavoro e le conclusioni di questa prima riunione del Tribunale dei Popoli, e non mi faccio illusioni sulle ripercussioni immediate che avranno in America Latina. Di fronte a tutto questo, se vogliamo che i nostri sforzi abbiano un esito positivo in un futuro non troppo lontano, sono convinto che debbano essere portati avanti in una duplice prospettiva. Da un lato, è essenziale portarli avanti nonostante questo panorama desolantemente negativo, ma allo stesso tempo non è possibile limitarsi a enunciarli nell’ultimo giorno dei nostri dibattiti, ma è necessario continuare la nostra azione non solo come Tribunale dei Popoli, ma dalle più svariate possibilità e angolazioni per collocarla in un’orbita che finirà per superare i muri del silenzio, i confini dell’oppressione e dell’alienazione, e raggiungere finalmente le orecchie e la coscienza dei popoli che sono i suoi naturali destinatari. Solo così la nostra difesa di questi popoli contro la violazione dei loro diritti sarà efficace, perché solo così i popoli difesi sapranno perché vengono difesi, perché questo Tribunale esiste, perché va sostenuto quando ricevono il suo appoggio.
    Ripeto la mia affermazione: quello che sto dicendo ora, quello che ognuno di noi dirà qui, non sarà ascoltato in Paesi come l’Argentina, il Cile, l’Uruguay, il Paraguay, il Brasile, il Nicaragua, El Salvador, e la lista non si ferma qui. In ognuno di questi Paesi c’è un popolo sottoposto quotidianamente a un lavaggio del cervello basato sulla più moderna tecnica dell’imperialismo, che cerca e spesso ottiene una sistematica deformazione dei valori morali e storici più essenziali. Proprio in questo momento molti di questi popoli sono sottoposti a una propaganda e a un indottrinamento volti a convincerli che non solo sono popoli sovrani, ma che possono e devono ignorare qualsiasi punto di vista proveniente dall’esterno; per enormi moltitudini così ingannate e così condizionate, strumenti come la Dichiarazione proclamata ad Algeri (ammesso che lo sappiano) significano automaticamente un’inammissibile intrusione di elementi stranieri negli interessi nazionali, e lo stesso si può dire della costituzione di questo Tribunale dei popoli qui a Bologna. È proprio per questo motivo che insisto sulla necessità imperativa di lavorare all’interno della doppia prospettiva a cui ho accennato prima; Se i giuristi capaci di elaborare strumenti di denuncia e di difesa contro le violazioni dei diritti dei popoli devono lavorare senza preoccuparsi dell’eco che questi lavori possono o meno suscitare nei popoli interessati, noi, partecipanti non giuristi, abbiamo l’obbligo di raccogliere il frutto di questi lavori e di impegnarci, ciascuno nell’ambito delle proprie specialità e possibilità, a proiettarli con tutti i mezzi affinché il loro contenuto raggiunga una consapevolezza sempre maggiore e più chiara tra i popoli a cui è destinato. Non è una frivolezza se dico che in molte occasioni una poesia o le parole di una canzone, un film o un romanzo, un dipinto o un racconto, un’opera teatrale o una scultura hanno portato e portano alla gente la nozione e il sentimento di molti dei diritti che gli specialisti esprimono e articolano nella loro forma giuridica; non è una frivolezza che qualcuno come me, un mero inventore di finzioni, sia ancora determinato a partecipare a questo tipo di incontro e a dire ciò che sto dicendo. Perché la consapevolezza dei diritti dei popoli può e deve entrare in essi per molte vie che non sono necessariamente quelle legali che sfuggono alla comprensione immediata delle persone, quando non sono messe a tacere o deformate dai regimi che sfruttano e alienano i popoli; questa consapevolezza può arrivare per vie che non hanno nulla a che fare con la logica o con il testo delle dichiarazioni fondamentali; Può avvenire per le vie della bellezza, della poesia, dell’umorismo, dell’ironia, della satira, della caricatura, dell’immagine, del suono, della battuta, del grido drammatico, del disegno, del gesto, di tutto ciò che tocca direttamente la sensibilità popolare e apre mirabilmente la strada al contenuto logico, morale e storico delle affermazioni formali.
    In questo percorso pieno di paradossi, non dobbiamo avere paura di uscire dai sentieri battuti, perché è proprio in questa rottura con le forme tradizionali che risiede la nostra unica possibilità di realizzare effettivamente ciò che il Tribunale dei Popoli si è prefissato. Dobbiamo partire dalla premessa che l’azione del Tribunale è rivolta alla difesa di popoli che non solo sono privi di molti dei diritti enunciati nella Dichiarazione di Algeri, ma che sono composti nella loro stragrande maggioranza da individui che ignorano la più semplice formulazione di questi diritti, e quindi non possono compiere la prima e più elementare operazione di protesta e di rivendicazione che è sempre un’operazione mentale, un’affermazione o una negazione coerente di fronte all’ingiustizia, al saccheggio e all’asservimento. Masse enormi di uomini latinoamericani in stato di analfabetismo totale o parziale popolano le nostre pianure e le nostre montagne in tutto il continente, e per il momento non c’è la minima possibilità di dare loro anche solo i rudimenti di ciò che vorremmo fare per loro. È ovvio che ciò non impedisce, come non ha mai impedito nel corso della storia delle idee progressiste dell’umanità, agli specialisti del settore di porre le basi morali e giuridiche per la difesa dei diritti di qualsiasi popolo del mondo; Ma è anche chiaro che l’atteggiamento paternalistico di pensatori, legislatori, giuristi e politici del passato deve essere superato nel presente e che l’azione di questo Tribunale dei Popoli sarà efficace solo se i suoi pronunciamenti emaneranno dal vertice della piramide sociale come un’eco, una risposta e una giustificazione ai desideri e alle speranze latenti e percepibili del popolo; Ma questa dialettica tra il balbettio e la parola, tra il desiderio di legge e la legge come norma, richiede un contatto incessante e sempre maggiore tra i popoli e i loro interpreti; gli sconvolgimenti delle radici popolari a cui il XX secolo ha assistito e continua ad assistere dimostrano ampiamente che non è più possibile continuare a pensare e procedere a partire da una presunta delega di poteri intellettuali e morali, e che insieme al pensiero guida e alle tribune da cui viene reso noto, come nel nostro caso attuale, è necessario cercare con ogni mezzo una comunicazione più diretta, più ampia e, direi, più viscerale con l’oggetto delle nostre preoccupazioni, con i popoli nella loro interezza e in ciascuna delle loro singole componenti. Accettiamo il fatto inevitabile che un continente come l’America Latina ci impone, e continuiamo a svolgere il nostro compito di fronte a frontiere chiuse e a travisamenti di ogni tipo; ma allo stesso tempo, hic et nunc, esploriamo tutte le possibilità che si aprono nel campo della comunicazione, dei ponti mentali e psicologici che possono aiutarci a portare questo lavoro alla coscienza dei popoli oppressi. La scienza, la conoscenza e il talento dei giuristi sono qui al servizio di una nobile causa; manca solo un detonatore che proietti questo pensiero e lo trasformi in un seme che cada in terre lontane, germogliando infine in frutti di libertà, di coscienza democratica, di ribellione all’ingiustizia e alla sottomissione. Quel detonatore è anche qui, tra noi, ma deve essere strappato alla routine e ai pregiudizi accademici, deve essere trasformato in qualcosa di vivo e dinamico; quel detonatore è l’immaginazione di ciascuno di noi, la possibilità che abbiamo di usare i mezzi più vari e anche i più inaspettati per trasformare ogni testo giuridico in un pezzo di vita, ogni dichiarazione formale in un sentimento dinamico, in un’esperienza incontenibile. Dobbiamo spingere al massimo le possibilità dell’immaginazione in tutti i campi, perché se rimaniamo nella sfera delle conclusioni teoriche e della pratica unilaterale, se ci limitiamo a fare affidamento sulla loro mera diffusione abituale attraverso la stampa e gli altri mezzi di comunicazione, l’efficacia morale del Tribunale dei Popoli sarà circoscritta e impoverita dalla mancanza di risonanza dei suoi principi e dei suoi scopi, come è accaduto in America Latina rispetto ad altri tribunali e altre assemblee; Ancora una volta, i nemici interni ed esterni dei popoli conosceranno questi principi e questi scopi meglio dei popoli stessi e troveranno il modo di neutralizzare e negare tutto ciò che questo Tribunale può realizzare.
    Per questo, come scrittore solidale con gli obiettivi di questo incontro, faccio appello all’immaginazione di tutti coloro che lottano per i diritti dei popoli per convertire il pensiero teorico in impulsi organici, per mostrare a livello di respiro, di vita e di sentimenti quotidiani tutto ciò che viene enunciato nei principi e nei testi. Mai come oggi è necessaria la capacità di invenzione a tutti i livelli possibili per suscitare nei popoli latinoamericani e negli altri popoli oppressi della Terra una maggiore consapevolezza della propria dignità e una maggiore volontà di affermarla e difenderla. Il secondo articolo della Dichiarazione di Algeri afferma che ogni popolo ha diritto al rispetto della propria identità nazionale e culturale. Sì, ma questo rispetto deve cominciare a esistere all’interno dei popoli stessi, e per questo è necessario che questi popoli abbiano una chiara consapevolezza di quella che è la loro identità nazionale, che non ha nulla a che vedere con i nazionalismi da quattro soldi che vengono loro iniettati quotidianamente dai regimi che li opprimono; e allo stesso modo questi popoli devono avere un’altrettanto chiara consapevolezza di quella che è la loro identità culturale, contro la quale le macchinazioni dell’imperialismo si levano con tutte le armi della pubblicità sfrenata e di un’educazione elitaria e distorsiva. Di fronte a ciò, il compito di tutti noi che non siamo giuristi è quello di trasmettere e soprattutto di trasmutare le nozioni teoriche e normative del diritto dei popoli, in modo che arrivino non solo come nozioni ma come intuizioni, come certezze palpabili, immediate e quotidiane nella vita di milioni di donne e uomini ancora persi in un deserto mentale, in un’enorme prigione di montagne e pianure.
    Questo lavoro è difficile e lento; proprio per questo dobbiamo intensificarlo ogni giorno, e questo Tribunale dei Popoli che si costituisce oggi a Bologna ci dà una nuova ragione e un nuovo respiro per portarlo avanti. Costruiamo ponti, costruiamo strade verso coloro che, da lontano, sentiranno la nostra voce e un giorno la trasformeranno nel clamore che abbatterà le barriere che oggi li separano dalla giustizia, dalla sovranità e dalla dignità.

    Cortázar, Julio
    in: Peuples/Popoli/Peoples/Pueblos n.ro 3 (febbraio 1984)
    da: Seminario TPP, Bologna, giugno 1979

    Léo Matarasso